venerdì 31 maggio 2013

Size does matter (NYC part II)

E' innegabile. In America tutto è grande: la auto sono grandi, i grattacieli sono altissimi, i pub hanno 40 spine, i fermentatori dei birrifici sono alti come palazzi... O per lo meno lo sono quelli di Captain Lawrence, piccolo (argh!!!) birrificio 40 km a nord di New York, a Elmsford, paesino disperso nelle campagne lontane dalla metropoli.
Il birrificio aveva attirato la mia attenzione grazie alla sua produzione, sia di birre iperluppolate, che di sour ales: i classici due piccioni con una fava.
E così dopo un lauto banchetto all'Oyster Bar del Grand Central Terminal, tappa fondamentale per chiunque sia un amante dei frutti del mare, saliamo sul treno che costeggia l'Hudson River fino a Tarrystown.
Arriviamo ad un complesso industriale nel mezzo del nulla in cui svetta un enorme silo per i cereali, ci addentriamo nell'ampia tasting room dove ci attende Aaron, manager dell'area accoglienza del birrificio. La sala cottura è grossa, ma non gigante, quello che lascia a bocca aperta è la "cantina": l'impianto da 30-35 Hl (mi perdonerete se non sono una cima con le conversioni) lavora non stop per 4 cotte al giorno per mettere nei fermentatori dai 12.000 ai 15.000 litri di birra ogni giorno. Questo immane sforzo - penserete voi - va a beneficio di una nazione molto estesa, mentre la realtà impone che le birre di Captain Lawrence siano reperibili solo nello stato di New York, con due eccezioni: Philadelphia e Boston. Si produce di tutto: dalla Koelsch, alle ben note IPA e Double IPA, passando per prodotti particolari, come la Weizen Bock e la Berliner Weisse a beneficio dei soli avventori della tap room. Incredibile, la capacità del birraio italo-americano Scott Vaccaro di produrre anche delle ottime sour ales come la già citata Berliner Weisse e la Hops n' Roses, passata in botte con rosa e ibisco.
Se le birre di Captain Lawrence si trovano sì e no in un pub su tre nella grande mela, in ogni dove ho trovato gli ottimi prodotti di Sixpoint, piccola gemma nel decadente borough di Red Hook, sud di Brooklyn. Nonostante il quartiere sia desolatamente noto per essere la capitale americana del crack, il quartiere si distingue nell'ospitare il secondo birrificio newyorkese più venduto (dopo Brooklyn). L'ambiente è piccolo e accogliente al suo interno, un impianto di dimensioni decisamente "italiane" trova spazio in una piccola costruzione in mattoni. Questa è la facility secondaria, dove vengono prodotte le birre one-shot, le stagionali e le speciali.
La gamma base viene prodotta e inlattinata 120 km più a nord in Pennsylvania per far fronte all'enorme richiesta di birra in NYC.
Nonostante la sala di cottura di Red Hook sia stata devastata dall'uragano Sandy a settembre, l'inossidabile spirito americano ha fatto sì che si tornasse velocemente in affari con una produzione sterminata di birre ad hoc.
Il Citra resta ancora il luppolo più di moda anche oltreoceano: grandiosa la serie Spice Of Life monoluppolata e la Oyster stout disponibile in pochissimi posti scelti. La serie di produzione base trova i suoi highlights nella Double IPA Resin, più west che eastcoast e nella Bittersweet, una cream ale davvero easy to drink ma coraggiosa.



lunedì 27 maggio 2013

La NYC che beve bene

Andare nella capitale del mondo occidentale per la seconda volta è un po' come camminare dopo essersi tolto i sassolini dalle scarpe: niente più code infinite per le attrazioni turistiche, basta sentir parlare italiano manco fossimo in piazza Duomo; solo il piacere di andare a zonzo per le strade, fermarsi dove si vuole, conoscere la città come se fossi (quasi) un residente. Inutile dire che il vero Beer Geek schifa la grande mela, lontana dalle IPA di San Diego e dalla West Coast in generale e, a volte, più vicina al nostro gusto europeo. Non è un caso se il mio amico Aaron decide di portarmi da Proletariat nell'East Village per un aperitivo (tutt'altro che) veloce: 6 spine su 10 sono occupate da birre europee, tra cui anche la nostra Perle Ai Porci. Schivo l'offerta esotica e mi concentro sulle quattro autoctone, rimanendo un po' deluso dalla scarsità della scelta. Allagash Blond mi riconcilia subito con me stesso.
Dopo aver specificato meglio la mia voglia di bere "americano", finalmente cominciamo a far quadrare i conti e ci dirigiamo sul lato ovest di Manhattan per qualche birra da Blind Tiger, locale già noto ai più, roccaforte della birra artigianale in città. Tante spine e anche un paio di casks per non farsi mancare niente, location bella, molto caotica. Ho solo una cartuccia da sparare e manco il bersaglio:  bevo la Hop Sun di Southern Tier con mia grande delusione. Sarà per la prossima...
La giornata successiva impone una sortita a Brooklyn dal beershop consigliatomi dal birraio di Captain Lawrence. Il Bierkraft a Park Slope è bellissimo, mi ricorda un po' "casa" con qualche miglioria e una scala decisamente statunitense: 12 spine e 3 real ales. Non si può chiedere di più. Mi secco velocemente la Cream Ale di Newburgh per poi passare alla Spice Of Life, single hop Citra di Sixpoint. S-P-E-T-T-A-C-O-L-O!!!
Mi dicono sia la settimana della birra del Maine e senza ulteriori indugi, ci spostiamo a Hell's Kitchen da The Pony Bar, forse il meno estetico di tutti i locali visitati, ma, anche se l'occhio vuole la sua parte, gli perdoniamo il look un po' da sport bar quando vediamo 30 spine interamente consacrate al Maine. Immancabile selezione di Allagash e poi Sea Dog e Main Beer Company; un tripudio di ales acide e non, accompagnate dalla classica aragosta che ci confortano dalla pioggia che si sta abbattendo su di noi.
Ci teniamo per l'ultimo giorno quello che è (ora) considerato da tutti i newyorkesi come il migliore craft beer pub. Alewife nel Queens... Il locale è piuttosto grande, su due piani, con un bancone grosso da cui svettano 40 (leggesi quaranta) rubinetti, che però si perdono nella generosità della sala. Anche qui Allagash la fa da padrone per via della Maine Beer Week, ciò nonostante ci restano 30 vie da assaggiare. Apro le danze con la Cream Ale di Empire Brewing, genere di cui sono ormai diventato abbastanza esperto, per poi buttarmi sulla Sawtooth Ale di Left Hand e chiudere in bellezza con la Rastafa Rye Ale dal cask di Blue Point.

Faccio un appunto: nonostante la sterminata offerta di birra BUONA che è presente in ogni dove, spesso bisogna confrontarsi con una mediocrità nel servizio che, visto il prezzo medio di 7 $ per le americane e di 8 $ per le straniere, resta imperdonabile.